Dal bronzo olimpico nel volley nel 1984 all’impegno di oggi come mental coach: «Insegno a migliorare il nostro spirito».
I campioni sono uomini, non sono macchine. Parola di Franco Bertoli, ex campione del volley, bronzo alle Olimpiadi di Los Angeles 1984 con la Nazionale, e oggi mental coach. Insegna ad avere cura della propria energia e a usarla per migliorare se stessi e gli altri. “L’Energia che Sei – Come scoprirla e trasmetterla per migliorare te stesso e le tue relazioni” è il libro pubblicato nell’aprile 2024 (edito da Bookness) che raccoglie la sua esperienza come uomo di sport: «Essere capitano della Nazionale Italiana è stato un onore immenso, ma al di là delle vittorie, ciò che mi ha segnato è stato il senso di responsabilità e di crescita personale che ho sperimentato».
È da qui che è partito per questa nuova sfida?
«Ho scoperto con il tempo di avere una naturale predisposizione a lavorare con le persone e ad aiutarle a tirare fuori il meglio di sé. Lo faccio con le aziende e nelle università, dove mi rapporto con i giovani, una grande risorsa piena di entusiasmo. Il sistema ha il dovere di offrire loro opportunità. La chiave è l’essere umano, lo stato d’animo, lo spirito: è questo che fa la differenza. Non si tratta solo di competenze, ma di energia e approccio».
Lei rifiuta l’immagine di Jannik Sinner e Tadej Pogacar come “macchine umane”?
«È un’immagine sbagliata. Le macchine sono stupide e quell’immagine svilisce dei grandissimi esseri umani. Guardandoli in azione, ciò che emerge è la loro presenza di spirito, la fiducia in se stessi, la determinazione».
Come possiamo definirli allora?
«Sinner e Pogacar sono energia pura. Sono gestori eccezionali del loro stato d’animo nei momenti di massima pressione».
E Sinner viene da un periodo delicato e difficile.
«Jannik è stato molto bravo a gestire una situazione complicata. Io sono per l’innocenza e trovo che sia ingiusto dover aspettare fino a febbraio per un verdetto. È un tempo infinito».
Quando Pogacar attacca sembra disumano. O no?
«Per fare quello che fa, lo sloveno ha bisogno di una forza mentale e di un talento fisico enormi. In più, possiede la capacità di individuare il momento giusto per attaccare».
Come lo definirebbe allora?
«Un diamante. Siamo tutti un po’ dei diamanti, ma lui lo è più di altri».
Come vivono gli avversari questa disarmante facilità di un campione di cambiare passo?
«Il campione ha un vantaggio: i suoi avversari spesso danno per scontato che sarà lui a vincere. La sua forza è anche la capacità di limitare l’energia degli altri».
Ci sono altri sport che hanno attirato la sua attenzione?
«Sono curioso di vedere cosa farà Gilardino con Balotelli. È una bella sfida, perché deve trovare il modo di coinvolgerlo e aiutarlo a prendersi degli impegni con se stesso. Deve capire se, a 34 anni, l’uomo Balotelli ha ancora voglia di mettersi in gioco. E questo può avvenire solo tramite il dialogo. Io penso che ci sia ancora una piccola scintilla che merita di essere risvegliata».
Segue ancora la pallavolo?
«Vivo a Modena e vado al PalaPanini a vedere le partite. Mi interessano particolarmente le fasi decisive del campionato, e seguo un po’ di più il femminile».
Merito dell’oro olimpico?
«Credo che già prima si fosse sviluppata un’attenzione diversa. Nel calcio femminile, tentativi simili hanno portato a una delusione. Ma nella pallavolo, il terreno era già fertile: è lo sport più praticato dopo il calcio, e la maggior parte dei tesserati sono ragazze. Questo coinvolge famiglie, scuole e compagni, creando un ambiente ideale per la crescita. Abbiamo giocatrici e tecnici capaci, ma manca ancora una dirigenza all’altezza».
Velasco ha messo solo la ciliegina?
«Velasco in quattro mesi non poteva cambiare nulla a livello tecnico. Il suo grande merito è stato quello di dare tranquillità al gruppo. Si è visto che le ragazze erano pronte per dare il meglio. Ho grande stima per Mazzanti, ma era necessario superare certe ferite. Un’altra mossa vincente di Velasco è stata quella di portare come secondo Massimo Barbolini, un tecnico di altissimo livello, forse più bravo di lui. Non è cosa da poco: di solito ci si circonda di “yes-men”. La grandezza di Velasco è anche questa».
Velasco ha permesso a Egonu di dare il meglio?
«Lei è un fenomeno, lo si sapeva già dal 2018. Inoltre, piace al pubblico anche per i suoi giudizi fuori dal campo, che contribuiscono a costruire il personaggio. Ma va gestita con cura. E questo ci riporta alla responsabilità dei dirigenti».